-- Panorami di una realtà mai vista: il James Webb Space Telescope

Marco Castellani
Luglio 2022

 

I primi scatti del telescopio spaziale James Webb, mostrati al mondo martedì 12 luglio, sono riusciti a stupire, a commuovere, gli stessi astronomi. Gente che di immagini del cielo ne vede tutti i giorni, davanti a queste nuove immagini rimane a bocca aperta. C’è anche chi ha pianto, raccontano le cronache.

Lo capisco, anche io sono rimasto impressionato. Il grado di dettaglio è veramente sorprendente. Il modo nuovo che abbiamo di vedere l’Universo è tale, che risulta difficile sovrastimare il salto in avanti che abbiamo compiuto. Verissimo, già avevamo compreso come fossero tempi particolarmente interessanti per la scienza del cielo, ma con l’entrata in funzione del James Webb, è come se ora fossimo tutti sottoposti ad una accelerazione ulteriore.

Le cinque immagini che sono state diffuse al pubblico martedì 12 luglio (con la notevole anticipazione di una di esse, resa nota nel lunedì sera italiano in una diretta speciale dalla Casa Bianca, con il presidente statunitense Joe Biden ed alla presenza dalla vicepresidente Kamala Harris) sono state scelte con indubbia competenza, perché nella loro globalità risultano davvero una splendida dimostrazione di quanto può fare questo nuovo telescopio spaziale, ovvero in quante situazioni - anche molto diverse - il suo occhio può risultare capace di stravolgere scenari ormai ritenuti consolidati.

A pensarci ora, una follia completa. Progettare e realizzare un telescopio enorme, il cui specchio gigantesco - davvero troppo grande per essere lanciato intero nello spazio, da un qualsiasi razzo - si costruisce” da solo, mentre raggiunge il suo punto di osservazione cosmico (a circa un milione e mezzo di chilometri da Terra), secondo una procedura totalmente automatica, completamente fuori controllo dalla Terra: una follia, sotto molti punti di vista. Sperare dunque che le procedure automatiche, così complesse, funzionino in modo perfetto? Una rischio enorme, un azzardo. Un costosissimo azzardo, peraltro.

Sono passati alcuni anni, ma ricordo ancora molto bene. Ero in Osservatorio, mi trovavo nell’aula seminari, per caso accanto al Direttore di allora - quando ci mostrarono il video della simulazione dell’assemblaggio automatico dello specchio del James Webb. Non funzionerà mai!, si lasciò scappare il Direttore, tanto appariva evidente a noi tutti l’inaudita complessità delle procedure che avrebbero dovuto aver luogo nello spazio, perché il telescopio potesse realmente funzionare.

Fui senz’altro d’accordo con lui: pareva veramente un’impresa fuori da ogni logica di riuscita. Troppo complessa. Uno specchio di più di sei metri che si mette in posizione praticamente da solo, allineando tutte le sue sezioni e allocando correttamente lo specchio secondario? Davvero impossibile. Ora, credo siamo entrambi felici d’essere stati smentiti. La realtà ha superato ogni proiezione, ogni immaginazione. Ora il telescopio spaziale James Webb è realtà e già ci sorprende, sopra ogni attesa.

 

1.  La foto dell’ammasso di galassie SMACS 0723 copre un’area di cielo paragonabile a quella coperta da un granello di sabbia tenuto alla distanza di un braccio. Ci mostra un Cosmo popolato da migliaia di galassie, donandoci la vista più dettagliata di sempre sull’Universo lontano.

Queste immagini, infatti, con la loro carica di meraviglia, ci pongono di fronte ad una evidenza ormai ineludibile. L’Universo non è appena un assemblaggio di cose là fuori esterno da noi e senza contatto o contaminazione. Non è nemmeno un insieme dato di entità, conoscibili una volta per tutte.

Piuttosto, l’Universo ci si disvela in modo definitivamente progressivo, ci si pone di fronte come una fuga praticamente infinita di dettagli e particolari e intarsi e mosaici cosmici, di una profondità che realmente pare non avere limite. Le qualità delle foto del nuovo telescopio ormai lo rivelano chiaramente: l’Universo si palesa alla nostra esperienza cosciente, tanto dettagliato, quanto noi riusciamo a percepire, momento per momento, epoca per epoca. La risposta è connaturata alla domanda: la complessità che ci investe è pari a quanto la nostra consapevolezza può reggere, epoca per epoca, istante per istante.

 La seconda evidenza che ci raggiunge, tuttavia, non è certamente da meno della prima, anzi possiede una pregnante rilevanza umana, per così dire. L’evidenza è che pensare in grande riveste ancora un grande valore, possiede tuttora un notevole peso specifico. Nell’epoca liquida, del disimpegno e del minimalismo, dove ogni grande costruzione ideale o materiale, sembra essere ormai preclusa dall’orizzonte umano - ecco proprio adesso - ci giunge la dimostrazione luminosa di come le grandi imprese ancora pagano, sono ancora fruttuose. Abbiamo bisogno di concentrarci su poche grandi cose per uscire dai pensieri pigri, dalle tendenze depressive, per sentirci afferrati ed avvolti da un’opera comune, capace di unire donne e uomini di diverse condizioni, varie culture, differenti generazioni.

Uscire dallo stato di emergenza esistenziale, tornare a pensare al futuro in modo ottimistico e costruttivo. Vedendo queste immagini lo capiamo di nuovo: è possibile pianificare, costruire, investire in obiettivi a lungo termine, perché diamo forma al futuro, scommettendo in progetti ampi e che si sviluppano su tempi distesi. Funziona nell’impresa scientifica e anche nelle nostre vite personali: la scienza è importante, dopotutto, per quello che ci insegna e che spesso gravita al di fuori di essa.

 

2.  L’andamento spettrale della luce proveniente da una atmosfera planetaria distante più di mille anni luce, rivela segni molto chiari della presenza di acqua (corrispondente ai picchi indicati in figura). Nell’immagine, i punti sono i dati provenienti dal James Webb, alle varie lunghezze d’onda, mentre la curva rappresenta la migliore interpolazione ottenibile.

 

Il James Webb ha sofferto un iter lunghissimo (se ne iniziava a parlare già prima del lancio del Telescopio Spaziale Hubble, avvenuto trentadue anni fa), durante il quale ha subito battute d’arresto, rischi di cancellazione del progetto, nuove partenze. Ha superato scetticismi, incomprensioni, diffidenze, mancanza di visione, tagli di bilancio. Se ci si fosse fermati e almeno in una occasione - correva l’anno 2011 - siamo andati vicinissimi allo stop definitivo e all’accantonamento del progetto, ora non vedremmo quel che possiamo vedere. Se ci si fosse fermati, ora - e per chissà quanto ancora - il Cosmo sarebbe diverso. Meno ricco e meraviglioso di come lo vediamo, di come abbiamo incominciato a vederlo l’altro lunedì. Uno strumento come questo cambia per sempre lUniverso, in un certo senso, poiché cambia per sempre il modo in cui lo osserviamo.

Proprio la foto diffusa lunedì 11 luglio, quella relativa allammasso di galassie Smacs 0723, ci porta immediatamente verso i limiti più remoti dell’Universo conosciuto: lontano ed indietro nel tempo. Vedere indietro nel tempo, nel caso di queste galassie, ci consente di capire appunto come fossero molti miliardi di anni fa. L’evoluzione delle galassie è un argomento al centro di diversi studi, e proprio i dati del primo campo profondo” del James Webb ci permetteranno di comprendere molto più in dettaglio il tragitto evolutivo di queste grandi strutture. I nuovi dati ci mostrano galassie così come erano anche tredici miliardi di anni fa e questo davvero non ha confronto nemmeno con i migliori dati del telescopio spaziale Hubble. Ci troviamo improvvisamente molto, molto più avanti. In particolare gli scienziati hanno ora informazioni importanti riguardo la composizione chimica delle prime galassie e stanno iniziando a confrontarle con i dati che già possiedono, riguardanti le galassie vicine. Sarà dunque proprio questa indagine che ci dirà, se ci sono differenze sostanziali tra le prime galassie e quelle attuali, corroborando uno o l’altro dei diversi modelli teorici di evoluzione galattica.

Nel complesso, i dati del James Webb già ci portano ad ammirare un Universo veramente lontano dal suo stato attuale, popolato di stelle e galassie così antiche quali non sono mai state viste. Per andare ancora più indietro, ci verrà presto in ausilio un altro grande telescopio spaziale, ovvero Euclid, che a differenza del James Webb, un telescopio intrinsecamente multifunzionale”, adatto dunque ad una vasta serie di osservazioni, è invece espressamente progettato per indagare l’Universo primordiale.

Giova qui ricordare che Euclid è un progetto europeo, gestito appunto dall’Agenzia Spaziale Europea, l’ESA, dunque possiamo constatare piacevolmente, quanto la decodifica dei segreti profondi del Cosmo si qualifichi, già da molti anni, come una impresa squisitamente transnazionale”, in cui tra l’altro, vogliamo sottolinearlo, l’Italia si trova a giocare un ruolo di primo piano.
 

3.  L’immagine rivela una quantità di regioni di fresca formazione stellare nella Nebulosa Carena, la cui visione fino ad oggi ci era preclusa. Nel complesso James Webb si rivela abilissimo nel penetrare attraverso le nubi di gas e polvere per rivelarci dettagli incredibili di queste “fabbriche di stelle” tutt’ora in grande attività.

Torniamo però al James Webb, per notare come la nuova capacità di vedere di questo grande telescopio ci appaia come innegabilmente relazionale: di questo è bene dare espressamente conto in questa sede, dove si tenta di vedere oltre il dato scientifico o tecnologico, per attingere almeno in parte al senso profondo che riveste il raggiungimento di un obiettivo come questo, incredibile se solo non fosse ormai reale. A mio avviso, potremmo dire che è relazionale in due sensi specifici.

Il primo è che effettivamente pone in relazione un consesso molto ampio di scienziati, ovvero donne e uomini come noi, con il compito di guardare il cielo e spiegarlo, appartenenti a varie nazioni, di diverse culture e fedi. Uniti in una collaborazione virtuosa che ci mostra sopra ogni dubbio, come l’abbattimento di ogni tipo di frontiera - soprattutto interiore - è quell’unico lavoro che porta un vero frutto di pace e conoscenza. Comprendere un risultato come questo, assaporandone il suo portato umano, è necessario non appena agli scienziati, ma ad ogni donna e uomo sulla Terra, al fine di elaborare strategie efficaci di resistenza contro le tensioni regressive e belliche che ancora sconvolgono il pianeta, questo meraviglioso piccolo puntino blu , e dirigerci con meno esitazioni verso una nuova era, una nuova antropologia segnata da una rinnovata creatività, dove il fenomeno umano (per dirla con Teilhard) venga compiutamente compreso e per questo ricollocato in feconda sintonia con l’intero Universo.

La relazionalità si articola anche in un secondo senso, ed è quello della ricerca di altre forme di vita, con le quali, in un futuro ormai non così fantascientifico, pensare di porsi in contatto.

James Webb, fin dalla sua progettazione, accoglie il paradigma moderno che vede il Cosmo tornare ad apparire,  potremmo ben dire, intrinsecamente ospitale. Del resto, negli ultimi anni si sono moltiplicate le evidenze della presenza di pianeti extrasolari, spesso con caratteristiche attrattivamente simili a quelle della nostra Terra. Fino a pochi decenni fa non si conosceva alcun pianeta fuori da quelli del Sistema Solare, ora se ne contano a migliaia. Questo cambio di paradigma, mai debitamente investigato sotto lo specifico aspetto umano, è tipico della nostra epoca e potrebbe costituire la transizione progressiva verso un Universo realmente vivo: una possibilità che solo oggi stiamo imparando a valutare debitamente ed alla quale ci stiamo progressivamente abituando.

Il telescopio James Webb in questo senso potrebbe portarci a delle scoperte epocali. Tra le prime immagini rilasciate c’è infatti anche lo spettro dettagliato dellatmosfera di un pianeta lontano più di mille anni luce da noi, chiamato WASP-96 b:  lo spettro è niente altro che unanalisi accurata dei colori che compongono una radiazione luminosa. Ebbene, da questa analisi, mai condotta in modo così dettagliato per un pianeta così lontano, risulta evidente la presenza di acqua sulla superficie di questo remoto mondo. Questo è sufficiente a farci pregustare quanto potrà fare il James Webb nel prossimo futuro per aiutarci ad individuare, anche a grande distanza, i pianeti che definiamo abitabili, poiché la presenza di acqua allo stato liquido costituisce un indicatore formidabile in questo senso. Potremo così

4.  L’immagine della Nebulosa Planetaria NGC 3132, ripresa da due diverse camere del James Webb. Le nebulose planetarie sono gusci di gas e polvere emessi dalle stelle nelle fasi finali della loro esistenza. La capacità di osservazione in infrarosso del nuovo telescopio porta in lucida evidenza una serie impressionante di particolari, finora impossibili a rilevarsi. Un simile grado di dettaglio sarà utilissimo per comprendere meglio le ultime fasi di vita delle stelle.

selezionare un ampio insieme di pianeti, con atmosfere degne di essere studiate in grande dettaglio. Da qui, le sorprese potrebbero certamente arrivare e potrebbero essere davvero grandi. Sebbene sia presto per dirlo, non è improbabile che James Webb possa essere protagonista di quel salto di paradigma, che ancora non si è verificato, ma che molti scienziati ritengono sempre più imminente, quello di una eventuale e certamente epocale scoperta di non essere soli nel Cosmo.

Le altre immagini ci portano poi da meraviglia a meraviglia. Sono la Nebulosa della Carena, la Nebulosa Planetaria NGC 3132 ed infine il Quintetto di Stephan. Eccellente dimostrazione visiva di quanto acuta e precisa sia la vista del James Webb, testimonianza incontestabile e definitiva di come anche tutte le complesse procedure di allineamento delle ottiche si siano concluse con pieno successo.

Dovendo però tessere le fila di tanta meraviglia, cercando un senso unificante a quanto stiamo ammirando, possiamo dire che la bellezza di queste prime immagini rende evidente, se pur ancora ce ne fosse bisogno, come non esista un io” staccato, che guarda fuori di sé, ma sussista in realtà una rete di rimandi fittissimi tra la nostra interiorità e questo meraviglioso cielo stellato, così che osservare il cielo diventa un modo per riflettere su noi stessi e per capirci, per arrivare a comprendere che noi davvero siamo, pur nella nostra indicibile fragilità e precarietà esistenziale, il punto, unico o meno, in cui il cosmo stesso si rende autocosciente.

Questo non può che disporci in un atteggiamento di umiltà e reverenza, di fronte a ciò che noi siamo, per dono, e a ciò che l’Universo ci rimanda. Come già avvertiva profeticamente Teilhard de Chardin ormai un’ottantina di anni fa, vi è una differenza ben minore di quanto si creda tra ricerca e adorazione” [1]. Davvero, come ha ricordato di recente anche il poeta e filosofo Marco Guzzi, noi siamo luniverso che osserva sé stesso e si conosce interamente per la prima volta”.

Del resto sono proprio queste grandi acquisizioni, queste formidabili scoperte, che rilanciano prepotentemente la necessità di un senso globale: proprio su questo, tuttavia, termino volentieri, regalando l’ultima parola a Teilhard, Per quanto la scienza spinga innanzi la sua scoperta del fuoco essenziale, per quanto capace essa diventi un giorno di rimodellare e perfezionare lelemento umano, essa si ritroverà sempre, in fin dei conti, di fronte allo stesso problema: come dare a tutti e a ciascuno di questi elementi, il loro valore finale, raggruppandoli nellunità di un tutto organizzato?” [2]

5.  Anche il gruppo di galassie noto come “Quintetto di Stephan” viene rilevato dal James Webb con una precisione assolutamente inedita. L’analisi di questo suggestivo quintetto - e di immagini simili che verranno acquisite in futuro - permetterà agli astronomi di gettare luce sulla interazioni tra le galassie, un tema complesso e affascinante, anch’esso destinato a ricevere importanti indicazioni dall’attività del nuovo telescopio spaziale.

Crediti immagini: NASA, ESA, CSA e STScI

 

 

[1] Teilhard de Chardin, Il fenomeno umano”, edizione Il Saggiatore (1968), pag. 336

[2] ivi, stessa pagina