Complessità-coscienza

Dopo molti decenni, quasi otto, dalla stesura definitiva de “Il fenomeno umano”, poderosa ed intensa opera editoriale, in cui Pierre Teilhard de Chardin ha raccolto il suo pensiero, si torna oggi a parlare di complessità, divenuta ormai un tema importante della ricerca scientifica ed un argomento significativo della riflessione filosofica.

Teilhard è tuttavia un precursore, perché i concetti della complessità attraversano ed informano tutto il suo lavoro intellettuale, fin dagli anni della prima guerra mondiale, avendo assunto il principio della non staticità dell’universo, che “appare, dal punto di vista siderale, in via di espansione spaziale, dall’infimo all’immenso.   Nello stesso tempo e più nettamente ancora, l’Universo si presenta, da punto di vista fisicochimico, in via di “avvolgimento” organico su sé stesso, dall’estremamente semplice, all’estremamente complesso, un particolare avvolgimento di “complessità”, che si trova sperimentalmente legato ad un correlativo aumento di interiorizzazione, vale a dire di psiche o (meglio ancora) di coscienza”, dalla sua forma più diluita, fino a quella più concentrata e riflessa.

La proprietà particolare posseduta dalle sostanze terrestri di vitalizzarsi man mano che progredisce il loro processo di “complessificazione”, si può pensare come l’esprimersi locale di una deriva universale, simile a quelle già identificate dalla fisica.

Se così è, la coscienza, definita sperimentalmente come l’effetto specifico della complessità organizzata, supera di molto il ristretto spazio terrestre, dove è possibile per noi e per i nostri occhi, distinguerla direttamente…, perché l’Universo, osservato secondo l’asse, la prospettiva, della complessità, è in continua tensione di ripiegamento, di avvolgimento, organico su sé stesso e quindi di interiorizzazione, tanto nella sua totalità, quanto in ciascuno dei suoi punti”.

L’avvolgimento, metaforicamente processo secondo il quale la stoffa cosmica converge in una sintesi, unificando elementi multipli in forme sempre più complesse, è dunque inarrestabile, pur progredendo lentamente attraverso miliardi di prove evolutive, per poter superare la ridotta probabilità della comparsa di stati maggiormente organizzati, capaci di alimentare il processo di complessificazione.

Oltre a considerare la vita come una funzione universale di ordine cosmico, la posizione originale di Teilhard riguardo il “fenomeno umano”, consiste nell’attribuire il valore di “soglia”, ossia quel valore minimo che una grandezza deve raggiungere, perché si produca un cambiamento di stato, all’emergere nella specie umana del potere di “riflessione”, un evento all’apparenza inverosimile, che mostra invece la “capacità per una coscienza di avvolgersi su di sé e di prendere possesso di sé stessa, come di un oggetto dotato di una propria consistenza e di un valore particolare: non più soltanto conoscere, ma conoscersi, non più soltanto sapere, ma sapere che si sa”, individuando sé stessi, chi si è, nel fondo di sé stessi, nel profondo della propria interiorità.

Se dunque la “coscienza” è la proprietà specifica degli stati organizzati e complessificati della materia in divenire, il fatto che essa cresca evolutivamente sino a superare la “soglia”, il “passo della riflessione”, genera una nuova forma di biologia, una biologia degli “infinitamente complessi”, che conferisce “al gruppo zoologico che la possiede, una indiscutibile superiorità funzionale e vitale, non solo quantitativa e numerica, purché si applichi, sino alle sue estreme conseguenze, la legge sperimentale di  complessità-coscienza  all’evoluzione dell’intero gruppo”, diventata a quel punto, più velocemente culturale, che non più lentamente somatica.

Si tratta di una legge, che si esprime in un vocabolo composto da due termini non semplicemente fusi tra loro, bensì legati da un trattino d’unione, una parola concepita cioè, per indicare e per interpretare la presenza svelata di una realtà più ampia, prima inattesa, ma fondamentale per la comprensione di fenomeni emergenti e fino a quel momento sfuggiti all’analisi concettuale: sono ora gli stessi neuroscienziati, G. Tononi in particolare, insieme a G. Edelman, ad aver concluso, dopo opportune indagini sperimentali quali – quantitative, che la coscienza è complessità e che la complessità è integrazione di informazione.

Ne segue allora che dovrebbe essere del tutto indifferente, sia parlare di coscienza, sia parlare di complessità, dunque è decisamente possibile e normale, per evitare confusioni, parlare di complessità-coscienza, come appunto aveva già fatto molto tempo prima Teilhard nello strutturare il suo pensiero, ricevendone però ora ulteriori e qualificate conferme scientifiche.