Pierre Teilhard de Chardin e il teologo Paul Tillich parteciparono su fronti contrapposti alla battaglia di Verdun (1916). In che modo furono segnati dalla guerra?

Leandro Sequeiros

Paleontologo, docente presso l’Università di Granada. Direttore editoriale aggiunto di Tendencias21.net de las religiones. Vicepresidente della Asociación de Amigos de Teilhard de Chardin (sezione spagnola)

La battaglia di Verdun, protrattasi dal 21 febbraio al 18 dicembre del 1916, fu la più grande e più estesa battaglia della Prima guerra mondiale sul fronte occidentale, fra gli eserciti tedesco e francese. Due soldati (Pierre Teilhard de Chardin e Paul Tillich) soffrirono su fronti opposti in questa battaglia, una delle più costose della storia in termini di vite umane.

Fu uno scenario di devastazione e carneficina inimmaginabili. Nel 2000, Hannes Heer e K. Naumann hanno calcolato 377.231 caduti francesi e 337.000 tedeschi, per un totale di 714.231, una media di 70.000 al mese. Nel 2014, William Philpott ha indicato la cifra di 976.000 caduti nel corso del 1916 e di 1,25 milioni di persone che patirono nella città durante la guerra.

Lo storico Antoine Prost ha scritto: “Come Auschwitz, Verdun segna un superamento dei limiti della condizione umana”. Non fu catastrofica soltanto per il numero di vite umane. Le speranze e i sogni, e in pratica le filosofie e le ideologie del tempo precedente vennero distrutte qui. Contro ogni previsione, tanto Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) quanto Paul Johannes Tillich (1886-1965) sopravvissero alla guerra (Teilhard era portaferiti francese e Tillich cappellano dell’esercito tedesco) nelle trincee opposte della battaglia.

Tra il fango e il filo spinato[1] è un testo di Mel Thompson, nel quale approfondisce i sentimenti di Teilhard e Tillich durante la battaglia e l’impatto emotivo sulla loro vita intellettuale. Entrambi divennero importanti pensatori e teologi filosofici.

 

                                                                                                                                                              

Tillich “apportò una grande quantità di conoscenze e una acuta comprensione del significato della vita”, mentre Teilhard “era un mistico naturale con un profondo amore per tutte le realtà materiali.” Entrambi senza dubbio cercarono di mediare fra la teologia cristiana e il pensiero laico. Soprattutto, entrambi lottarono contro la stessa sfida esistenziale e filosofica: perché andare avanti? Teilhard lo chiamò “il problema fondamentale dell’azione”, mentre Tillich scrisse: “Su cosa si può fondare il coraggio di esistere?”

L’autore del saggio, Mel Thompson (Inghilterra, 1946), è un pastore anglicano, professore e scrittore. Ha composto un libro su Filosofia ed Etica rivolto tanto agli studiosi quanto ad un pubblico più vasto. Ha ricevuto la sua istruzione presso la King Edward VI School di Chelmsford e al King’s College di Londra, dove si laureò nel 1969, ottenendo il Premio Shelford di Filosofia della Religione destinato al miglior studente del corso, nonché il Premio Tinniswood.

Nel 1973 ha conseguito un Master in Filosofia e nel 1979 il Dottorato. Ha operato per alcuni anni come ministro della Chiesa d’Inghilterra, per diventare poi insegnante in alcuni collegi religiosi e scrittore indipendente. Dal 1990 al 1998 è stato direttore editoriale della collana di Educazione Religiosa di Hodder Education.

Le sue numerose pubblicazioni includono titoli di filosofia pubblicati da Teach Yourself Books (etica, filosofia, filosofia politica, filosofia della religione, filosofia della mente e filosofia della scienza). Nel 2017, Mel Thompson ha pubblicato Philosophy for Life, la sesta edizione della sua introduzione alla filosofia uscita originariamente nel 1994. Quell’anno, Thompson era cappellano presso un reparto di malati di cancro. Egli lo paragonò al campo di battaglia di Verdun. “L’esperienza del cancro e il suo trattamento non è diversa dall’entrare in una trincea sotto il fuoco nemico, aspettando impotenti il prossimo proiettile o la prossima cellula mutante, confidando che la cura funzionerà, che il prossimo passo nella battaglia sarà decisivo…”

Insieme a Teilhard e Tillich, Thompson si chiede: “Che succede se il nostro cammino in avanti si blocca? Cosa succede se restiamo intrappolati senza speranza di fuga? Come troveremo il coraggio di agire?”

Teilhard e Tillich affrontarono la carneficina in maniera molto diversa e adottarono risposte molto diverse alle sue domande fondamentali, per quanto, come vedremo, queste riposte non erano poi così lontane fra loro.

Teilhard era un uomo pieno di ottimismo incontenibile: “Più che mai credo che la vita sia bella, anche nelle circostanze più tristi”. E sul fronte della battaglia scrisse testi spirituali di grande profondità.[2] Tillich[3] si chiedeva invece: “Chi può assicurarci che la luce è più forte dell’oscurità?” Sentiva di star perdendo la fede in quel Dio che un tempo pensava di conoscere. Soffrì di un “crollo nervoso”. Oggi pensiamo che si trattasse di Disturbo da stress postraumatico.

Il libro di Thompson ha un inizio piuttosto confuso – qualche cartina del campo di battaglia sarebbe stata d’aiuto, ma i rapidi tratti della “guerra che avrebbe posto fine a tutte le guerre” sono descritti con abilità. In qualche momento, la storia attrae il lettore man mano si procede nella lettura. In alcuni capitoli, veniamo catturati. Come si mantiene viva la speranza in mezzo alla devastazione e alla desolazione? Come lo fecero Teilhard e Tillich? Come ha trovato Thompson una risposta, per non parlare dei pazienti di cui si prendeva cura nel reparto tumori? Che cosa fa sì che valga la pena di andare avanti?

Tre aspetti rendono particolarmente interessante l’approccio del saggio di Thompson:

1. in primo luogo, che dopo la sua esperienza nel reparto tumori, abbandonò  il sacerdozio per mancanza di fede. Gli va dato credito, diversamente da molti, di aver esaminato Teilhard e Tillich, per non parlare dei temi che lo preoccupavano maggiormente, con lucida razionalità. Questi due teologi vengono spesso discussi in modo ambiguo in seminari e corsi universitari, talvolta da teologi che badano alle loro carriere, ai loro seminari o alla gente comune. Thompson non ha motivo di ragionare “nel circolo dei credenti”, come lui stesso afferma. È libero di uscire.

2. in secondo luogo, Thompson scrive questo libro al termine della sua carriera come autore di molti libri di divulgazione filosofica, e che sta tornando al suo “primo amore”. Ciò, scrive, “è profondamente personale”. I suoi studi di specializzazione si concentrarono, fa altri temi, su Tillich e Teilhard, dopo ci fu la sua esperienza nel reparto oncologico. Il suo primo libro successivo si intitolava Il cancro e il Dio dell’amore. Ora, alla fine della sua carriera, chiudeva il cerchio. È uno sguardo all’indietro, rivalutando tutto dopo una vita di pensiero e scrittura su filosofia e religione. Con questo nella sua mente, guardava ora in avanti in attesa: quale sarà il suo verdetto?

3. il terzo elemento che attrae in questo studio è l’insolito approccio al tema adottato da Thompson. Non si tratta solo di problemi. Si tratta soprattutto del contesto: le persone, la geografia, la storia, la società, la religione e la propria passione personale. È, in poche parole, un approccio olistico. Si riflette nel titolo: Tra il fango e il filo spinato. Questo libro tratta di cose tangibili, non di semplici idee. Questa strategia arricchisce notevolmente il libro.

Sia Teilhard sia Tillich sono pensatori profondi e complessi, di difficile lettura anche per filosofi e teologi esperti. Se il libro può apparire, ad alcuni, piuttosto superficiale, Thompson sembra aver trovato un buon equilibrio che soddisfa anche l’aspetto legato alle questioni filosofiche. Entrambi i teologi, spiega Thompson, dopo la loro esperienza di guerra (e specialmente dopo la battaglia di Verdun) svilupparono una prospettiva di teologia filosofica radicale. Entrambi erano alla ricerca di certezza in un mondo in cui, come affermava Tillich, “la vita in sé stessa non è un terreno sicuro”.

Teilhard, in particolare, cercò di unire Dio con un universo in evoluzione, così che Dio diventasse parte integrante del processo evolutivo. Ogni passo di questa evoluzione si muoveva con sicurezza verso un centro supremo, che chiamava “Punto Omega”. Il male e il peccato erano meri sottoprodotti di questa evoluzione e rendono il mondo “ogni volta migliore”. Tillich, da parte sua, sviluppò una fede radicale in un “Dio nonostante Dio”, nel quale confidiamo quando la fiducia stessa pare non avere senso. Thompson riassume efficacemente: “Teilhard lottò contro il dubbio, mentre Tillich l’abbracciò”.

Mentre la tensione cresce, si continua a leggere, ansiosi di trovare quello che Thompson ha da dire circa la risposta a tutto, e anticipa le nostre domande nel corso della lettura. Rifiuta Teilhard, per quanto con delicatezza. Teilhard, afferma, non è del tutto scientifico e a volte pare un po’ troppo singolare. Teilhard ha creato una finzione necessaria, un “deve essere” a partire da un “è”, una terapia contro il minaccioso abisso della vita. Thompson si pone invece dalla parte di Tillich, la cui teologia filosofica offre un “interesse fondamentale” in ogni situazione della vita. Tuttavia, il Tillich di Thompson non sembra esattamente uguale al vero Tillich, per due motivi:

in primo luogo, lo sguardo di Thompson appare superficiale attribuendo a Tillich un compromesso fra un “interesse fondamentale” e il “fondamento dell’essere” – ciò sembra lontano dall’autentico pensiero di Tillich. Elogia le “piccole cose” che danno significato e affermano la vita. Scrive: “Tillich usa l’espressione ‘interesse fondamentale’ per indicare questo senso più generale del significato e proposito della vita…” Tuttavia, il vero Tillich sembrava vivere davanti alla disperazione. Thompson ha riconosciuto la vera radicalità di Tillich?;

in secondo luogo, per quanto sia difficile affrontare un concetto di “Dio nonostante Dio”, Tillich sembra davvero aver creduto – al di là di tutto ciò che esiste, al di là di tutti gli idoli, al di là di tutte le metanarrazioni e ideologie – in un Dio che definisce “realmente reale”. Invece, l’interpretazione di Thompson è che Tillich “abbia di fatto ridefinito Dio come profondità”. Sembra passare sotto silenzio le singolari e potenti idee di Tillich. La visione che Thompson ha di Dio è adeguata a Tillich? Comunque, se il viaggio è interessante e il libro estremamente stimolante – al di là di quanto è possibile qui riportare – il risultato sembra essere una specie di anticlimax. Alla fine, sembra di aver a che fare con un altro filosofo stanco che semplicemente si accorda con Tillich, ma non è davvero Tillich.

Nel suo scritto Thompson individua alcune somiglianze fra Teilhard e Tillich, nonostante le loro differenze: le loro storie, le loro domande e le loro conclusioni. Vorrei ora proporre il mio confronto. Per quanto Teilhard e Tillich sembrino su poli opposti, è possibile riconciliarli in questo modo: entrambi si trovavano davanti al problema, in pieno conflitto, di cercare di spiegare razionalmente e spiritualmente in che modo qualsiasi avvenimento – per quanto terribile – potesse avere comunque senso.

Tillich scriveva: “Se la vita è senza senso quanto la morte, se la colpa è discutibile quanto la perfezione, se l’essere non più senso del non essere, su cosa può fondarsi il coraggio di esistere?” Il problema si pone, secondo Tillich, allorché poniamo sullo stesso piano la vita e la morte, la colpa e la perfezione, l’essere e il non essere. Non abbiamo più un mondo che possa farci da modello: abbiamo visto il mondo così com’è. I nostri modelli mentali hanno fallito.

In retorica e in filosofia esiste un concetto simile: giungiamo ad un’aporia – un paradosso – in cui nessuna azione o parola ci aiuterà. Come possiamo fuggire da un luogo che non ha vie d’uscita? Quando siamo stanchi del mondo, come potremo avere una visione del mondo che non nasca dal mondo stesso? Bisogna introdurre qualcos’altro da fuori. Questo hanno fatto sia Teilhard sia Tillich ma, come osserva Thompson, Tillich sembra essere il più convincente dei due.

Curiosamente, i due teologi trascorsero gli anni della vecchiaia su due lati opposti di Central Park, New York, questa volta divisi da verdi parchi, ma non sappiamo se si conoscessero. È difficile credere di no. Ci si chiede cosa si sarebbero detti se si fossero conosciuti. Forse Tillich avrebbe detto di scrivere per coloro che si sono spezzati, mentre Teilhard, forse, per coloro che cercano di non esserlo.

 

Traduzione dallo spagnolo di Franco Bisio

 

[1] Mel Thompson, Through Mud and Barbed Wire: Paul Tillich, Teilhard de Chardin and God after the First World War, Independent Publishing Platform, 2017

[2] Pierre Teilhard de Chardin, La vita cosmica. Scritti del tempo di guerra 1916-1919, Il Saggiatore, Milano 1971; id., L’uomo, l’universo e Cristo, Jaca Book, Milano 2012; id.,  “Il Cristo nella materia. Tre racconti alla Benson”, in Inno dell’Universo, Queriniana, Brescia 1992

[3] Marcos Santos, “Dios, Ser, Mundo, de Tillich a Lafont”. Tendencias21, 14 marzo 2013.
https://www.tendencias21.es/Dios-Ser-mundo-de-Tillich-a-Lafont_a16168.html Leandro
Sequeiros, “Las tradiciones religiosas pueden vivir en armonía”.
FronterasCTR, 17 febrero 2021. https://blogs.comillas.edu/FronterasCTR/?p=5750 Leandro Sequeiros. “Ciencia, Religión y Panenteísmo”. FronterasCTR, 26 sept. 2021. https://blogs.comillas.edu/FronterasCTR/?p=6241

 

categorie articoli: